Segni sacri a Modena
censimento dei monogrammi cristologici e mariani nel centro storico
Antefatti
Alla fine del 1995 chi scrive presentò all'attenzione degli
assessori comunali alla cultura e all'edilizia la "Nota sui monogrammi
devozionali di Modena" che si riporta qui di seguito.
In questi ultimi anni la città
(centro e immediate adiacenze) appare sempre più come un grande
cantiere di restauro. Generalmente gli edifici sono restaurati con una
certa serietà, con cura, con metodi adeguati. Frutto di una
rinnovata sensibilità storico-estetica, dell'opera di maestranze
specializzate, dell'accresciuta efficacia delle normative e dei
controlli pubblici (Comune, Soprintendenza...). Ciò che
immediatamente interessa a tutti e, in un certo senso, appartiene alla
collettività, è l'aspetto esterno di questi edifici, il
loro affacciarsi sugli spazi pubblici: le facciate. In esse è
rilevante la presenza, fra gli altri elementi (finestre, porte, cornici
e cornicioni, paramenti differenziati...), delle targhe murate con il
simbolo del nome di Gesù (IHS) o della Madonna (MA): si tratta
di lapidi in marmo, formelle in terracotta o maiolica, dipinti,
inferriate. Rilevante innanzitutto perché abbondante (ve ne sono
tuttora alcune centinaia solo nel centro cittadino, secondo stime del
Centro studi Maiestas, che da quasi un decennio
si occupa del fenomeno, presentandolo anche alla pubblica attenzione
nella mostra "Una città, la sua fede" che ebbe quattro edizioni
negli anni 1986 e 1987 e nella più recente "Segni di Cristo nel
territorio" con sei edizioni fra il 1993 e il 1995); rilevante,
inoltre, per il preciso significato culturale. Spesso, in occasione di
restauri, tali oggetti vengono ben curati e adeguatamente ripuliti. In
alcuni casi tuttavia, una volta tolte le impalcature davanti ali
'edifìcio restaurato, si nota che la formella sacra è
scomparsa, e l'intonaco, coprendone l'impronta, ne cancella
definitivamente traccia e memoria (è sempre Maiestas a segnalare
recentissimi casi, in corso Duomo, in piazza Matteotti e altrove, anche
fuori dall'area storica). Casi forse isolati, o forse indici di una
tendenza, che va comunque contrastata. Perché asportare questi
oggetti, da tempo incorporati nella struttura stessa degli edifici? Per
trasferirli all'interno, tenerseli in casa, privatizzandoli? per
ricavarne un utile al mercato antiquario? (ma quanto poi?), o
espressamente per toglierli dal luogo pubblico, per impedire che siano
in vista? Va detto, in ogni caso, che si tratta di segni collocati dai
nostri predecessori, singolarmente o in occasione di rilevanti
avvenimenti collettivi (il principale è qui l'epidemia di colera
del 1855), ma sempre con
individuale, precisa e datata intenzione di testimonianza pubblica.
Tale intenzione (che costituisce il valore principale di questi
oggetti) va rispettata, al momento di metter mano al restauro di una
facciata, e non si vedono motivi validi per disattenderla, tanto
più in un momento di accresciuta sensibilità verso la
memoria storica e i beni culturali di una collettività. È
indispensabile che il Comune promuova con urgenza un censimento di
questi oggetti, come pure delle immagini sacre collocate all'esterno
degli edifici (come diverse città italiane hanno fatto o stanno
facendo), dandone incarico a chi da tempo si sta occupando della cosa e
dispone degli strumenti necessari, al fine di poterne garantire un
'adeguata tutela. Elementi culturali di tale valore meritano in
sé una cura almeno pari (se non maggiore) a quella riservata
agli altri elementi delle facciate storiche di cui il vigente Piano
regolatore, in ossequio alla Legge urbanistica regionale, prescrive la
valorizzazione tramite conservazione.
La proposta fu presa subito in seria considerazione. Dopo le
opportune precisazioni, valutazioni e verifiche, venne affidato
l'incarico per il censimento.
...